La chiesa, orientata tradizionalmente con l’abside verso est, conclude il progetto di trasformazione del recinto cimiteriale esistente, dando forma definitiva al rapporto della corte a tre lati con il paesaggio montano circostante che viene inquadrato tra i portici e la facciata della chiesa. La torre, anche se non dotata di campana, (la si potrà collocare in futuro), richiama, come segno nell’immaginario collettivo, un campanile, ma funziona, dati lo spiraglio in sommità e la copertura in acciaio inox sabbiato e quindi di colore scuro, come camino di ventilazione, che con il surriscaldamento della copertura, nelle ore estive più calde conferisce all’aria nell’edificio un moto ascensionale in grado di rinfrescare naturalmente l’ambiente.
Quando il silenzio propaga la sua eco, le parole rivelano tutta la loro usura.
Umberto Galimberti
L’edificio è il risultato di un lavoro sintattico sul concetto di limite.
In pianta: la porta in facciata risulta dalla distanza fra le pareti laterali; le aperture sui fianchi, dalla misura necessaria a permettere lo slittamento completo delle porte scorrevoli, in modo che vadano ad allinearsi alle ante aperte della porta principale (come si può vedere nel disegno in pianta); i tratti di parete che restano a chiudere le navate hanno la misura dell’intercolumnio dei portici esistenti. Secondo gli stessi meccanismi, l’abside e la torre insistono sul perimetro del muro del terrazzamento esistente, sedime immodificabile per non ricorrere ad una pratica di esproprio.
In sezione: le altezze si riferiscono al cimitero esistente: la chiesa ne mutua l’altezza maggiore, l’abside una intermedia, le finestre della facciata altre altezze. Solo la torre guadagna un’altezza indipendente, necessaria alla sua percezione alla scala del territorio. Questa serie di artifici compositivi mette l’edificio in tensione con il sito e rende più facile la ricerca di proporzioni nella composizione dei volumi, poiché tutto nasce non da scelte di progetto, ma da condizioni che già appartengono al luogo.
Nell’etimo della parola architettura sono inscritti i termini greci techne ed archai. “Forse l’architetto dovrebbe essere colui che ha la capacità di eseguire, svolgere la techne delle archai” (Hillman). Secondo questa interpretazione l’architettura della chiesa, per avere senso in sé, ma anche per risultare focus dell’intero cimitero, deve mettere in atto l’arche del riparo per il rito (preghiera, ma soprattutto dolore e meditazione, anche per chi non è cattolico) per costruire, attraverso la techne un luogo dove la coscienza si possa raccogliere. Il modo qui impiegato consiste nel sottomettere alla fusione nel simbolo (dal greco syn-ballein: mettere insieme) un insieme di immagini sintetiche di elementi architettonici tradizionali che acquistano un nuovo statuto per la sintassi che governa il loro disegno ed il loro montaggio. La pianta, insieme di due navate, ma non divise da colonne; la facciata esterna che comunica la divisione interna, non semplicemente con due portali distinti, ma con la combinazione di due coppie di aperture (portale e feritoia sovrapposta) che si sovrappongono nel centro generando, tra di loro, lo spazio per la tradizionale porta a misura d’uomo per l’ingresso quotidiano; il soffitto che, ad altezze diverse evidenzia la compenetrazione delle due navate; il sistema delle absidi una delle quali si fonde con l’immagine del campanile e diventa torre costruendo all’esterno la forma della chiesa tradizionale, ma definendo all’interno, nel gioco dei vuoti e dei pieni il limite destro della facciata di un chiesa nella chiesa che fa da sfondo all’altare e, alla sua destra un vuoto che non viene percepito, data la sua altezza, come “interno della torre”, ma come spazio a lato della facciata interna.
La combinazione di questi elementi, se vuol restare nel linguaggio simbolico e non apparire meccanica, deve permettere oscillazioni di senso, ambivalenze interpretative, incertezze e dubbi nei significati, in sostanza non deve essere letterale, poiché letterale significa “esente da figure retoriche, da metafora, esagerazione, inesattezza, distorsione o allusione” (Hillman), per lasciare al fruitore la possibilità di caricare di interpretazione e quindi di contenuto le risonanze del luogo in cui si trova. Niente fissità, solo apertura.
Il cardine della facciata si trova nell'incrocio dei piatti di acciaio inox dello spessore di dieci millimetri, in corrispondenza tra l'angolo destro superiore della porta piccola e l'angolo sinistro inferiore della parte bassa della parete in granito. Qui, le parti si separano per consentire le diverse aperture, e si ricompongono alla chiusura. Gli spazi tra i piatti in inox misurano dieci millimetri. Le maestranze hanno accettato la sfida: il portone è stato realizzato come da disegno.
Il trattamento della luce ne differenzia la provenienza e l’intensità: zenitale sull’altare, al mattino nell’abside, dall’alto e dal basso nella torre, più tenue che nell’abside. Le finestre in facciata memoria sintetica e scarna degli oculi o dei rosoni nelle facciate delle chiese romaniche porteranno, come negli antichi edifici citati la proiezione, al tramonto, di un raggio di sole nel presbiterio.
Nel complesso, si è cercato di misurare con delicatezza l’ingresso della luce naturale all’interno dell’edificio per ottenere un’illuminazione tenue in modo da favorire il raccoglimento dei fedeli.
Le uniche tracce di decorazione nell’edificio sono le sette croci dislocate in altrettante posizioni: all’ingresso, nel pavimento; dietro all’altare; sul tabernacolo; a lato della facciata; nel serramento della torre; nelle chiavi di fissaggio contro il vento dei portoni aperti ai profili in ferro sul sagrato. Nelle croci, di tipo latino, il braccio verticale e quello orizzontale si incrociano più in alto per indicare la possibilità-speranza che il materiale fermi più tardi lo spirituale.
L’interno è caratterizzato da pavimentazioni in acciaio sabbiato, materiale che prosegue negli elementi di arredo dando ad essi emergenza monolitica e monomaterica: altare, tabernacolo, ambone, acquasantiera e, a misura della costruzione dell’intero cimitero, ai piedi della torre, la traccia a terra dell’ingombro del corpo disteso (cimitero, dal greco koimeterion: luogo dove si mette a giacere): il luogo di deposizione del feretro per la benedizione. Ogni elemento, nel punto di contatto con la mano dell’uomo, cambia materiale.
Le panche, la poltrona nella Sede e gli sgabelli per i chierici sono solo indicativi, sono stati realizzati su disegno.
Le principali immagini di riferimento sono le pievi romaniche lombarde e toscane di piccole dimensioni, per la misura degli spazi e per il complesso dei volumi; la chiesa dei Giacobini a Tolosa per la doppia navata e le chiese dell’area armena per il tipo a navata unica biabsidata di cui si riportano le piante delle tipologie più significative.
Fin dall’inizio si è posto il problema del doppio uso dell’edificio: per i riti funebri che precedono la sepoltura e per la messa settimanale.
La necessità della celebrazione di due riti ha portato, seguendo l’evoluzione tipologica delle basiliche paleocristiane, alla concezione di un edificio sacro dove ad ogni rito corrisponde una navata e quindi, nel nostro caso, alla disposizione di due navate affiancate. La principale, a sinistra, per la messa settimanale, distribuita secondo i dettami del Concilio Vaticano II, che trova conclusione nell’altare e nell’abside e la secondaria, a destra, per i riti funebri che converge verso il focus della traccia-assenza a terra, luogo di deposizione del feretro per la benedizione e nella torre che fa da sfondo all’estremo saluto. La partizione binaria serve naturalmente solo a rafforzare le necessità simboliche dell’edificio, visto che le celebrazioni avvengono comunque in un spazio unico.
Alla divisione sopra descritta se ne sovrappone un’altra: la possibilità di un doppio utilizzo dell’edificio in relazione al numero dei fedeli. La chiesa dispone infatti di due configurazioni possibili: quella chiusa, concentrata e raccolta, per la messa settimanale e quella completamente aperta, che porta il paesaggio all’interno dello spazio sacro, per i riti funebri più affollati, dove le porte laterali aperte lasciano continuità al passaggio tra i due portici e, come si vede nello schema seguente, viene rafforzata, con la presenza di un numero discreto di persone anche ai fianchi dell’altare, l’immagine virtuale di un croce composta dai fedeli convergenti sul presbiterio e con il celebrante al centro dell’assemblea, anche questo in linea con il Concilio Vaticano II. Nella serie di immagini successive, è poi possibile vedere come il portone frontale sia pensato per corrispondere alle diverse configurazioni, sia funzionali che, soprattutto simboliche, dell’edificio sacro: portone chiuso, apertura della porta piccola centrale per la messa quotidiana, apertura della sola parte destra corrispondente alla navata per la messe funebri, apertura della sola parte sinistra corrispondente alla navata per la messa settimanale, apertura completa del portone corrispondente alla messa per i funerali.
Per chiarire quest’ultimo concetto sono utili le parole di Gianluca Frediani sul progetto che “denuda e purifica i volumi, spingendo lo spazio sacro al limite del vuoto assoluto, del “niente”, come unico luogo possibile per accogliere il “tutto”. Non esiste più alcuna separazione tra celebrante e fedeli, ma la partecipazione all’azione liturgica che i suoi spazi sacri suggeriscono è completa ed immediata proprio come avveniva nel più antico rituale cristiano. Modello ideale cui la Chiesa cattolica moderna si è sempre più decisamente riavvicinata, sino a giungere alla consacrazione definitiva del rito ad populum sancita dal Concilio Vaticano II, che sembra quasi concludere, con il ritorno alla innocenza delle origini, un travagliato ciclo di esperienze e di trasformazioni durato molti secoli.”
Quindi la direzione presa è quella dell’”annullamento della distinzione tra l’aula riservata ai fedeli e il presbiterio per giungere ad un nuovo spazio ecumenico totalizzante ed unitario, dove la distanza – e quindi anche la differenza – fra celebrante e fedele sia ridotta al minimo o addirittura cancellata.”
La committenza chiese, disponendo di soli € 60.000,00 se fosse possibile avere una cappella che potesse accogliere una ventina di persone per le messe settimanali, ma al contempo, almeno duecento persone per i funerali. Il progetto, con un po’ di astuzia, diede risposta soddisfacente.
Bibliografia
Gianluca Frediani, Le chiese, Laterza, Bari, 1997
Paolo Cuneo, Architettura armena, De Luca Editore, Roma, 1988
James Hillman, La politica della bellezza, Moretti & Vitali, Bergamo, 1999
James Hillman, L’anima dei luoghi, Rizzoli, Milano, 2004
James Hillman, Il linguaggio della vita, Rizzoli, Milano, 2003
Umberto Galimberti, Paesaggi dell’anima, Mondadori, Milano, 1996
Umberto Galimberti, Parole nomadi, Feltrinelli, Milano, 1994
Cortine di Nave, Nave (BS), 2000 - 2005
Committente:
Comune di Nave, Brescia
Progetto:
Paolo Greppi
Pierluigi Bianchetti
Collaboratori:
Alessandro Muccio, Raffaella Gatti
Strutture:
Elena Danesi, Stefano Menapace, Gianbattista Migliorati
Crediti fotografici:
Alberto Muciaccia
Impresa costruttrice
Opere in acciaio inox: sistemi e progetti s.r.l. (Gussago, Brescia)
Costo / Cost
Euro 60.000,00
Superficie / Area
Mq 54
Volumetria / Volume
Mc 324