Una stazione marittima non può essere esclusivamente luogo di passaggio, arrivo o partenza ma, anche se soltanto per i pochi istanti in cui si manifesta allo sguardo di chi parte o arriva, deve rappresentare un frammento di senso o parte dell’identità di un luogo che dia significato al viaggio (o a quel poco che ne resta) di chi si occupa di trasporti.
In contrapposizione al demone dell’efficienza, logica progettuale contemporanea dominante, la natura poetica dell’uomo, fondata sul divenire e non sulla stabilità, si rivela nel far cambiare di senso l’ordinario, nell’inserire l’insolito tra il consueto. E siccome già nel profondo della psiche umana si custodisce l’insolito, in realtà nulla di realmente nuovo o inquietante, ma invece un che di familiare alla vita e da essa estraniatosi soltanto a causa di inspiegabili rimozioni, cerchiamo, con questa architettura, di riportare alla luce e quindi alla percezione di tutti, lo sguardo tranquillo dell’inconsueto, che sa accogliere quell’estraneità dell’uomo a se stesso che non è disperato squilibrio, ma fecondo spaesamento nel consueto paesaggio che abitiamo. In un contesto dove tutto è già deciso da precedenti atti progettuali, ora in imminente fase di realizzazione e dove nell’immediato futuro, pur con il nuovo ordine progettuale, si realizzerà un non-luogo, l’unica strategia possibile guarda all’intensità oggettuale dell’architettura.
Due volumi in movimento sull’acqua, colti in un fermo-immagine, o all’apparenza, casualmente posati sulla banchina: questa immagine, che resterà nella memoria di chi arriva o di chi parte, gioca su un doppio registro percettivo dipendente dalla luce che la investe: compattezza e matericità, come se si trattasse di oggetti recuperati dal mare e che quindi ne portano i segni sotto forma di patine, sedimenti o corrosioni; oppure smaterializzazione, stratificazione di livelli, superfici o trasparenze, dove la memoria porta a manufatti raffinati, depositati sulla banchina in attesa di partire per altre destinazioni. Mutevolezza che, in tutte le possibili variazioni intermedie dipendenti dal tempo cronologico o meteorologico, ma soprattutto dallo sguardo di chi osserva, permette all’edificio di raggiungere in sé l’evidenza necessaria a rappresentare il proprio statuto che, tra l’altro, anche nell’etimologia risulta instabile (porto: attraversare; stazione: stare) e quindi di riscattare la nuda superficie di asfalto che lo circonda, con un unico dialogo possibile: quello con navi cargo, autotreni, gru e container. Nel riflesso scuro del mare.
Monfalcone (GO), 2006
Paolo Greppi
Pierluigi Bianchetti
Massimiliano Pagani
Segio Bologna
Anna Donati