Paolo Greppi

I poeti insegnano

Quando incontro due individui che collaborano, aiutandosi e sostenendosi a vicenda, torna in me la speranza. In portoghese, la mia seconda lingua, aspettare e sperare sono una parola sola: esperar. Per molti motivi adoro la lingua portoghese; questo è uno di quelli, perché "sperare" mi dà un senso di impotenza, come dire: lasciamo al caso o al soprannaturale, la decisione; mentre "aspettare", comunica un senso di maggiore certezza. L'attesa sarà seguita dal risultato, solo differito. L'attesa, quindi, del risveglio di una società attualmente paralizzata da paura e odio.

Nel caso della fotografia gli individui sono un'alga e un fungo. Convivono. Ma senza l'altro non ce la farebbero: l'alga riceve riparo, acqua e sali dal fungo, che, al contempo riceve dall'alga i composti organici prodotti dalla fotosintesi. La natura ha detto già tutto, sarebbe sufficiente ascoltare. Il connubbio prende il nome di lichene, dalla radice greca antica λείχω (leicho), cioè "lambisco", per la sua struttura che pare accarezzare la superficie sulla quale trova dimora. I licheni sono preziosi, in antichità diedero sostentamento in mancanza di cereali, nei periodi di carestia. Oggi sono utilizzati in cosmetica, in farmaceutica e come coloranti nell'industria tessile.

Credo che la grazia, sia metaforica che formale, di questi organismi, sia stata il motivo che ha sedotto uno tra i più rinomati studiosi internazionali di licheni, che scrisse:

"Capisco, adesso, perché questa passione

ha attecchito in me così durevolmente: rispondeva a ciò che ho di più vivo, il senso della provvisorietà. Sicché, per buona parte della vita, avrei raccolto, dato nome, amorosamente messo in serbo....neppure delle nuvole o delle bolle di sapone - che per un poeta sarebbe già bello; ma qualcosa di più inconsistente ancora: delle effervescenze, appunto."

L'autore ebbe anche un'altra vocazione, per la quale, in Italia, fu più celebre: la poesia.

Non a caso.

Si chiamava Camillo Sbarbaro. 

Ed è una voce tra le mie preferite.

L'incipit di "Ora che sei venuta", suona così:

"Ora che sei venuta,che con passo di danza sei entratanella mia vitaquasi folata in una stanza chiusa -a festeggiarti, bene tanto atteso,le parole mi mancano e la vocee tacerti vicino già mi basta."da "Rimanenze", 1955

Viene naturale ora, dopo che il caso, attraverso una fotografia, ci ha condotto alla poesia, trasformare l'inconsistente, ma proprio perché fragile, feconda effervescenza che il poeta custodisce, in un modo per riconoscere nel volto dell'altro, lo sguardo. Sguardo che poi, in fondo, è il nostro.

I poeti insegnano.

Cellatica, Santuario della Madonna della Stella, 1537-1539

P.G. 24.11.2021


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