Paolo Greppi

Nove sedicesimi

Mi chiedono, alcuni amici, il motivo della scelta del formato verticale, in 9:16, della maggior parte delle mie fotografie. 

Scelta irrazionale, come, in fondo, tutte le scelte.

Provo a rispondere, anche se senza risultati soddisfacenti:

- forse perché conferisce all'immagine una maggior drammaticità, dovuta al senso di gravità (intesa in senso fisico, di peso, ma che porta poi alla gravitas dell'oratoria latina); ma non è sempre così: la drammaticità può essere ottenuta anche in orizzontale;

- forse perché sono nato e vivo in una terra di soglia, tra la Pianura Padana ed il suo primo incresparsi, che annuncia le Alpi, e la montagna mi porta alla visione verticale; ma così non si spiega il motivo del formato verticale di fronte a paesaggi orizzontali, come in alcune fotografie;

- forse perché lo strumento più usuale con cui fotografo, è il telefono, ed il modo in cui lo si impugna solitamente, è in verticale; ma sarebbe molto semplice ruotarlo di novanta gradi; 

- forse perché, data la mia formazione di architetto sono votato alla giustapposizione di parti in elevazione; ma molti progetti sono simili a deposizioni su un piano orizzontale; 

- forse perché sono più portato a guardare verso l'alto e meno ai lati;

- forse perché orizzontale, da "orizzonte", dal greco "orizon" con sottinteso "ciklos" significa limite, confine circolare, mentre verticale, dal latino "vertere", trova la sua radice in aggirarsi, muoversi attorno e quindi senza un limite ed io tendo a non apprezzare i limiti, anche se so bene che rappresentano ciò che ci consente di essere (conosciamo tutti la lezione della colomba di Kant). E poi, si potrebbe ruotare all'infinito anche fissando un orizzonte circolare.

Insomma, la spiegazione non riesco a trovarla: alcune domande restano senza risposta.

P. S.

Ieri, però, ho letto le seguenti parole di Martin Heidegger su Friedrich Nietzsche (1936-1946,1961) in Umberto Galimberti, Il segreto della domanda, Feltrinelli, Milano, 2011:

"Non sempre una domanda chiede una risposta. Spesso chiede di essere dispiegata (entfaltet), affinché ceda quello che ha di più essenziale e dischiuda i riferimenti che si aprono quando ci si appropria di ciò che segretamente custodisce. La risposta, infatti, è solo l’ultimissimo passo del domandare. E una risposta che congeda il domandare annienta sé stessa come risposta e non è quindi in grado di fondare alcun sapere, ma solo di consolidare il mero opinare."

Non sono abbastanza preparato in filosofia, ma queste frasi mi hanno convinto: continuerò a fotografare in verticale, 'dispiegando' la domanda nell'esperienza...

P.G. Chiari, 28.02.2021


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