qui dentro sta il corpo
note sul cimitero di Palazzolo e altri progetti
Percorro in asse il vecchio cimitero neoclassico.
Varcata la soglia, ai lati dell’abside, due aperture preesistenti originano due sentieri speculari che conducono alla zona bassa del nuovo edificio. Sul continuum della figura rigida ritmata dagli alti pilastri, regola che definisce il vuoto dell’impianto claustrale, si affacciano alcuni oggetti di grande dimensione: il cilindro degli ossari, la rampa e l’abside preesistente sul muro del vecchio cimitero, posato sul tappeto verde cui sembra appartenere da sempre. Il pieno del basamento registra il cambio di quota, trattiene l’edificio ancorandolo a terra; è la stessa pietra che salda il pavimento dei due accessi allo sforzo ascensionale degli alti pilastri, in piccoli pezzi, a strisce, a lastre più grandi. Il pavimento si fa parete superando inavvertitamente i 90°, copre i giunti dove l’acqua arriva e deve scorrere: una sottile pelle protettiva, di cui il corpo dell’edificio si libera progressivamente verso la copertura. Lì ancora una piega lo aspetta, il punto fragile della chiusura fra tetto e parete: una vibrazione della superficie marmorea disegna una leggera ombra, come un astratto ricordo di una trabeazione classica. All’interno, il corpo umano orizzontale misura gli spazi, configura la pianta e determina la regola delle posizioni dei vivi, mentre lo spazio in elevazione si scandisce nei fitti pilastri il cui interasse ancora isola ed inquadra il corpo eretto. Nella misura fra i pilastri si fissano i gesti, la timida vita dei vivi fra i morti, dei fiori che non devono marcire in fretta, dei pensieri trattenuti. Questo luogo-gesto, schiacciato nella frontalità del prospetto, frammenta la visione , isola una preghiera, inquadra l’atto individuale di aprire l’acqua - posare il vaso- colmare d’acqua il vaso, atti che corrispondono agli oggetti di più piccola dimensione collocati all’interno dei corridoi di deambulazione: sedute, fonti, nicchie di luce o di aria, piccoli luoghi di separazione ed intimità. Ognuno di questi atti prende le dimensioni dal corpo, quello stesso che è riposto chiuso fra le dimensioni minime del loculo. E quella chiusura, apparentemente funzionale, è un ulteriore atto di pietas, semplificando l’atto del chiudere nel gesto semplice di appoggiare e serrare la lastra con un solo fermo, sottraendo permanenza e drammaticità in quell’atto della chiusura per sempre. Eccezioni dentro al recinto della regola, i punti di attacco fra la rampa e il cilindro esplicitano la natura della transizione, mentre nelle scale che raccolgono i sentieri di andata e ritorno i pilastri si sdoppiano e si inclinano leggermente, declinando la variazione minima sul tema del basso continuo. Silenziosamente, dettagli quasi invisibili registrano il passaggio fra l’impianto rigido del portico con la geometria fluida e circolare del cilindro e con quella dinamica e tridimensionale della rampa: il soffitto del corridoio si inclina leggermente registrando il salire in quota della rampa, inglobata nell’ultimo tratto all’interno del portico; allo stesso tempo sul lato opposto, nel punto di giunzione con l’ossario, è lo stesso soffitto ad incurvarsi per riprendere la casseratura ellittica del piano circolare, il solaio più sottile e aereo che non a caso sorregge quei corpi divenuti cenere. Un foro attraversa verticalmente tutta la sezione, su fino a raggiungere la luce della lanterna: non un solo controsoffitto aiuta la costruzione, nella linea onesta e impervia secondo la quale ciò che è visibile è costruito. A chiusura del cilindro è ancora un senso di leggerezza a pervadere lo spazio: un manto di copertura sottile viene sorretto da tre puntoni che scaricano attraverso i muri nei tre soli punti di appoggio che attaccano a terra il cilindro. Gli arcarecci rimangono in bilico fra l’anello intermedio e la corona superiore, e sarà con la stessa forma circolare che serra la copertura degli ossari che verranno inanellate e consolidate le scale in pietra della torre a Palazzolo, cioè con una struttura chiusa che è piena di vuoto interno ma che viene usata proprio nella sua qualità di forma resistente. Nell’interstizio tra struttura e tetto si genera una ventilazione, e qui ritroviamo la quasi ossessiva attenzione per l’aria che deve circolare negli ambienti per non far marcire i fiori, tema visibile anche nei dettagli di altri cimiteri; ma forse quest’aria trasporta un’altra eco, quella più lontana e poetica de “. . la presente E viva, e il suon di lei”, ossia è il mezzo nitido attraverso il quale si rimescolano odori e suoni. Qui a Palazzolo, nelle stanze a cielo aperto dal basamento fino all’alto tetto, ma anche a Borgosatollo nelle stanze aperte sul perimetro della corte ad impluvio, scorre un flusso d’aria e di luce continuo a cui si unisce anche il defluire dell’acqua nella grondaia, che è stata proiettata esternamente dalla sua sede e che passa lasciando un rumore leggero dentro al vuoto di quegli spazi. Così misurato dalla mutevolezza della luce e di tutti gli altri elementi che la natura trasforma, si mitiga il tempo dei vivi che tornano ai morti.
Laura Peretti, Milano, febbraio 2004
In:
Greppi & Bianchetti
Discorsi dai luoghi (Progetti 1993-2003)
Schio, Idea Architecture Books, 2003
Monografia 1993-2003